Un nuovo modo di comunicare il vino?

Una domenica di metà settembre ci siamo ritrovati, in compagnia di numerosi amici della stampa, a Bornato, in Franciacorta, presso l’azienda Monte Rossa.
Il motivo di quest’incontro – organizzato da Emanuele Rabotti, proprietario dell’azienda franciacortina – era duplice: da una parte fare il punto della situazione sulla vendemmia, o per meglio dire analizzare cos’è la vendemmia al giorno d’oggi, dall’altra verificare, assieme ai numerosi giornalisti presenti, se non fosse il caso di approcciare in modo diverso, da quanto finora fatto, la COMUNICAZIONE SUL VINO.
Numerosi i produttori presenti, provenienti da ogni parte d’Italia, ognuno dei quali ha portato il suo contributo su uno od entrambi i temi della tavola rotonda, dalla quale sono scaturiti interessanti spunti di riflessione; qui di seguito gli interventi ritenuti più significativi.
Rabotti, partendo dal volutamente forzato paragone: scandalo del metanolo ed attuale crisi del mercato, ha auspicato un cambiamento nel modo di comunicare il vino “cominciamo a guidare la comunicazione, senza farci condurre”, sottolineando inoltre l’esagerato numero di manifestazioni alle quali i produttori sono chiamati a presenziare.

Il valdostano Costantino Charrere ha evidenziato le problematiche di coltivazione della vite nella sua regione, con vigneti situati ad altitudini variabili tra i 350 ed i 1.300 mt slm, con forti pendenze, i suoli sono prettamente morenici e spesso ricchi di quarzo proveniente dal Monte Bianco, questo conferisce ai vini una notevole mineralità. In merito alla vendemmia, Charrere, dopo aver collocato la data d’inizio nella prima settimana d’ottobre – questo ricavato da una media degli ultimi cinquant’anni – ha fatto notare che negli ultimi dieci anni si è verificato un continuo anticipo, sino ad arrivare alle tre settimane di quest’anno. Ulteriore analisi è stata il confronto tra le annate 2003 e 2009, entrambi molto calde, con la differenza però che quest’anno, a causa del lungo e freddo inverno, ci sono state riserve d’acqua e d’umidità; ci si aspettano quindi vini bianchi non molto strutturati ma dotati di un buon equilibrio. Charrere rivendica inoltre il ruolo dei produttori come “gestori del territorio” e ribadisce il grande lavoro di tutela del territorio che loro svolgono, soprattutto in luoghi poco sfruttabili in altro modo. In merito al discorso sulla comunicazione. “I produttori debbono comunicare tra loro. Dobbiamo entrare nella stanza dei bottoni”.

Giuseppe Benanti, proprietario dell’omonima azienda siciliana, specifica che data l’estrema variabilità di vitigni e di clima della regione, la vendemmia, che è iniziata la terza settimana di settembre e proseguirà sino alla fine d’ottobre. L’attenzione viene quindi spostata sui vini dell’Etna, che in questo momento godono di grande favore presso gli appassionati, dove ci sono vigneti a partire dai 400, sino ai 900 mt slm, con punte che superano i 1000 metri; questo fa si che ci sia una grande escursione termica, inoltre diverse sono le insolazioni, dipendentemente dal versante del vulcano che si prende in considerazione; i vigneti, in genere allevati ad alberello, ed in molti casi a piede franco, sono prevalentemente composti da Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio. Conclude infine, ritornando all’importanza del territorio: “occorre rispettare il territorio”, “il territorio dobbiamo averlo nel sangue” e, nello specifico: “occorre fare vini dell’Etna, non vini sull’Etna”.

Anche Elisa Sandri, dell’azienda trentina Pojer & Sandri, parla di vendemmia anticipata di una settimana per le uve Müller Thurgau, coltivate sul conoide di Faedo, ad altitudini che raggiungono i 750 mt slm, e vendemmiate manualmente, qui il sistema d’allevamento è la classica pergola trentina, con densità d’impianto di 6.500 ceppi/ha.

Riccardo Baracchi, dell’azienda aretina, situata nella zona di Cortona torna un poco all’esperienza e sensibilità proprie dei contadini in merito alla scelta della data d’inizio vendemmia: “mi fido più di me che delle analisi”. L’azienda Baracchi dispone di ventidue ettari di vigneto, diviso in tre appezzamenti, dove si coltivano Syrah, Sangiovese, Cabernet e Trebbiano.

Alessandro Ceci, della storica azienda specializzata nella produzione del Lambrusco, ricorda come questo vino, prodotto in milioni di litri e reduce da cinquant’anni di disistima da parte dei consumatori, sia diventato nuovamente d’attualità, sulla scia della moda dei vini scuri, negli anni ’90.

Nadia Zenato, parla di prossima vendemmia (siamo a metà settembre) per le uve di Lugana, mentre anche in Valpolicella, nella zona di Sant’Ambrogio, con vigneti situati a 400 mt slm, su terreni calcarei ricchi di sassi, la vendemmia è stata anticipata e parte delle uva per la produzione dell’Amarone sono già in appassimento.

Maurizio Felluga, dell’azienda Livio Felluga, rivendica a gran voce l’appartenenza territoriale del nome Tocai e l’orgoglio per la propria azienda. “Si può essere contadini senza avere le mani sporche di terra”, e quindi tocca l’argomento della comunicazione “finora le aziende hanno dato troppa importanza al marketing e poca all’uomo”, inoltre, in merito alle continue valutazioni a cui un produttore deve sottostare: “non possiamo tutti gli anni essere sotto esame”.

Piero Bagnasco, della storica azienda Borgogno, produttrice di Barolo parla della nuova gestione aziendale, che comporterà una riduzione del numero di bottiglie prodotte: da 150mila a 80mila, con un ritorno ad una “agricoltura buona”, ovvero senza utilizzo di diserbanti.
Giovanni Manetti di Fontodi ribadisce che: ”non esiste una viticoltura facile ed al contempo di qualità”, e “il Sangiovese produce qualità solamente in condizioni di stress”.

Francesco Serafini di Serafini e Vidotto, una azienda nata nel 1986, e quindi senza una lunga storia alle spalle, evidenzia che: “senza una tradizione alle spalle si è mentalmente più liberi”, sostenendo inoltre di essere sempre alla ricerca dell’equilibrio nei loro vini.

Aldo Rainoldi parla della sua Valtellina, con vigneti abbarbicati su suoli rocciosi, dove la poca terra superficiale è generalmente di riporto, situata così a nord, la valle gode comunque di un clima mediterraneo; accennando quindi alla prossima vendemmia, mette in risalto la sanità delle uve.

Antonio Caggiano, produttore di Taurasi “terra d’Aglianico”, mette in risalto l’assioma: vitigno, terreno, viticoltore e stagione = qualità del vino. Ricorda inoltre come per lui la vendemmia sia motivo di grande sofferenza, dovuta al veder raccogliere uve così amorosamente curate per una stagione.

Paride Marino di La Valentina parla del suo Abruzzo “generoso”, dove, occorre credere nelle potenzialità dei suoi tradizionali vitigni; Trebbiano e Montepulciano, oltre che riscoprire quelli quasi perduti: Pecorino e Cococciola.

Tra i numerosi interventi segnaliamo quelli del giornalista Fabio Piccoli: ”ripartire dalla terra e dall’uomo nella comunicazione sul vino”; del ristoratore Maurizio Rossi (La Villetta di Palazzolo): ”in questi anni c’è stata troppa esposizione mediatica”, e di Giacomo Mojoli, che dopo aver sollevato i problemi della viticoltura, relativi al cambiamento climatico, e quelli relativi agli operatori di vendemmia (quasi ovunque extracomunitari) ha concluso ribadendo quello che da tempo sostiene: “la comunicazione giornalistica deve aggiornarsi, occorre raccontare maggiormente ciò che è al di fuori del bicchiere”.
Dopo la tavola rotonda si sono potute assaggiare le diverse uve, portate da ciascun produttore, ed ovviamente degustare i loro vini.
Lorenzo Colombo

 

pubblicato in origine su www.vinealia.org

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