Garantito IGP: La beata solitudine di Podernuovo a Palazzone
Ci sono casi in cui essere geograficamente “fuori da tutto” o quasi (nel senso di denominazioni di origine e non) può costituire un vantaggio e dare la libertà di fare scelte altrove impensabili o impraticabili. Se poi questa eccentricità si pone pure all’incrocio, anzi a cavallo tra regioni storicamente e culturalmente diverse, è anche meglio.
Il caso di Podernuovo a Palazzone, la cantina che Giovanni Bulgari (ha lavorato a lungo come gemmologo nell’azienda di famiglia, prima di dedicarsi al vino) possiede tra Cetona e San Casciano dei Bagni, è proprio questo: estremo sud della provincia di Siena, con l’Umbria a meno di un km in linea d’aria e il Lazio a meno di otto. Alcuni dei salotti buoni del vino italiano, da Montalcino a Montefalco, dal Chianti alla Valdorcia, sono a un’ora d’auto: “se sia una distanza grande o piccola, e quindi danno o un’opportunità, è una valutazione soggettiva“, dicono.
Quel che è certo è che, in zona, Podernuovo è una realtà pressochè unica. La comprò nel 2004 Paolo Bulgari, il padre di Giovanni, facendo reinnestare le vecchie vigne abbandonate degli anni ’70 con Sangiovese, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot e Petit Verdot.
Oggi l’azienda ricadrebbe in zona Chianti Colli Senesi, che però ma non mai stata rivendicato, nè pare se ne abbia intenzione.
L’abbondanza di mezzi, inutile nascondersi dietro a un dito, qui è evidente.
Al centro dei 50 ettari della proprietà, di cui 26 vitati (cinque, con Chardonnay e Grechetto, sono sul lago di Corbara, in comune di Orvieto), sta la grande cantina progettata e realizzata nel 2012 dallo studio Alvisi-Kirimoto, un’enorme struttura in cemento, legno, acciaio e vetro (“gli stessi materiali usati per la produzione del vino“, fanno notare) immersa quasi completamente nella collina e mimetizzata nel paesaggio, con una centrale geotermica e pannelli solari che garantiscono, giorni di vendemmia esclusi, la quasi totale autonomia energetica. Ci sono uno chef interno, visite guidate (possibili solo su prenotazione), e una struttura ad hoc per questo tipo di accoglienza. Un resort è in arrivo. Ed è in corso la conversione biologica.
Tutto lineare, dunque? No.
Intanto le etichette sono solo quattro: Nicoleo (vino da tavola, Grechetto e Chardonnay al 50%), Therra (Igt Toscana, Merlot, Cabernet Sauvignon e Sangiovese in parti uguali), Sotirio (Igt Toscana, cru aziendale, Sangiovese 100%) e Argirio (Igt Toscana, Cabernet Franc 100%). E le bottiglie prodotte sono poche (tra 80 e 100mila l’anno) a fronte a un potenziale triplo.
Le ragioni sono molte.
La principale è che l’azienda, prima di espandere il volume produttivo, vuole portare a termine il complesso lavoro di riassetto stilistico cominciato con la dipartita di Riccardo Cotarella, enologo a Podernuovo dal 2004 al 2009, e che dovrebbe concludersi quest’anno con l’ingresso permanente di Jacopo Felici. L’obbiettivo dichiarato è riallineare i vini al mercato e dotarli di una identità più distinta, per farne un punto di riferimento qualitativo dell’area. I segnali si vedono a occhio nudo (in cantina la barriccaia è quasi vuota, mentre cresce il numero dei legni grandi) e cominciano a sentirsi anche nel bicchiere.
La seconda è che Giovanni Bulgari preferisce procedere nel rinnovamento con cautela e prudenza, passo dopo passo, valorizzando il vino senza salti troppo bruschi.
E’ in questo senso che si può parlare di wines in progress.
E l’assaggio dei quattro vini attualmente in commercio lo dimostra, col contributo di un campione di G33 2018, un rosso ancora inedito a base di Sangiovese, Cabernet Sauvignon e Merlot.
L’impressione generale è che la stoffa ci sia e che la strada sia quella giusta: va ora intrapresa con la massima decisione, mettendo a punto un modello di sobrietà compatibile da un lato con le particolari caratteristiche del terroir, dall’altro con la richiesta del mercato.
– Nicoleo 2020
Prodotto in circa 20mila bottiglie con uve Grechetto e Chardonnay al 50% provenienti dai vigneti sul lago di Corbara. E’ fatto in acciaio e per il 30% in barrique nuove, con un successivo passaggio in cemento (che fanno tutti i vini aziendali).
All’occhio è di un colore dorato pieno e vivo, con riflessi verdastri. Al naso, piuttosto intenso, la nota floreale è secondaria rispetto a quella varietale del Grechetto. L’olfatto poi si allunga in una coda fine, elegante, con un accenno di sabbia e di sassi. Al palato è sapido e diretto, molto piacevole, con un ritorno di legno piuttosto marcato, ma non invasivo, che fa del campione forse il più definito del lotto.
– Therra 2019
E’ il rosso “base” dell’azienda, prodotto in circa 40mila bottiglie da uve di Sangiovese al 60%, Merlot e Cabernet Sauvignon al 20%. E’ fatto in acciaio e poi in botte da 30 q.li.
Di colore rubino carico con qualche riflesso violaceo, al naso è concentrato, pieno, ricco di profumi di frutti rossi maturi, con le note speziate e calde che si ritrovano anche in bocca, dove il vino si fa penetrante e un po’ ruvido, con tannini in evidenza. A mio modesto parere, è un vino a cui dare almeno un altro anno di vita per goderselo appieno.
– Argirio 2017
E’ prodotto dal 2009 con il 100% di Cabernet Franc proveniente da terreni argillosi, lavorato in botti tronco coniche e poi in barrique, con passaggio finale in cemento.
Di colore rubino-granato molto scuro e carico, al naso è di grande intensità olfattiva, caldo, con profumi espliciti di frutti rossi ipermaturi, di confettura e ciliegia sotto spirito. Legno e note varietali in grande evidenza. Quest’impressione si prolunga in bocca: è un vino importante, di struttura importante, tannico, molto coerente al proprio stile e, pertanto, anche un po’ ingombrante. Pure questo è da aspettare (e non è un difetto!).
– Sotirio 2017
E’ un vino speciale, il top della gamma aziendale, prodotto in memoria del bisnonno Sotirio Bulgari, fondatore della dinastia. E prodotto con uve 100% Sangiovese provenienti esclusivamente dalla vigna detta “del Moro” (insomma è un cru) e lavorate in botti da 10 quintali.
Di un colore rubino pieno e robusto, all’olfatto si rivela subito di grande eleganza, con un marchio varietale che si apre a ventaglio in un bei sentori di ciliegia, vibrante e avvolgente. L’annata difficile, calda e siccitosa, emerge maggiormente in bocca, rivelando con una nota un po’ asciugante che tende a sopraffare la tendenziale gentilezza. Ma forse, ancora una volta, è solo una questione di tempo.
– G33 2018
Vino non ancora in commercio, fatto per ora in sole 800 bottiglie con uguali percentuali di Sangiovese, Merlo e Petit Verdot.
Ha un bel colore rubino intenso e caldo. Al naso mantiene ancora qualche sentore di legno ma è composto, compatto ed elegante, venato di speziature e di frutto maturo. Come i campioni precedenti in bocca è ben più acerbo, concentrato e ridondante che al naso. Da aspettare, con molta curiosità, più a lungo degli altri.
In conclusione: siamo appunto in itinere.
Sarà un piacere, per tirare le somme, fare la verticale di vecchie annate che ci è stata promessa e sulla quale certamente vi sarà riferito su queste pagine. Credo riserverà qualche sorpresa.
Stefano Tesi