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Il Malanotte del Piave fra tradizione e innovazione

Scrivemmo in merito a questo vino nel giugno di quest’anno, quando recensimmo “Il Barbarossa” della Cantina Pizzolato, vi rimandiamo quindi a quell’articolo per avere maggiori informazioni sulla denominazione, i luoghi di produzione, i vitigni utilizzati e sul particolare metodo produttivo.

Uniche cose che vogliamo aggiungere a quanto già scritto sono alcuni dati relativi alla superficie vitata ed ai quantitativi prodotti di questa denominazione che s’estende sul territorio di 34 comuni, tra le province di Treviso e Venezia, su suolo ghiaioso ed argilloso chiamato “Caranto” e che quest’anno festeggia i dieci anni dall’ottenimento della Docg.
Gli ettari rivendicati nel 2018 sono stati 15,02 (curiosamente la metà di quanto rivendicato l’anno prima) e ne sono stati imbottigliati 233,15 ettolitri, corrispondenti a poco più di 31.000 bottiglie. (I dati sono stati ricavati da ISMEA Mercati)
Le informazioni pervenute dal Consorzio Vini Venezia, che si occupa anche del Piave Malanotte, parlano di 60.000 bottiglie, nel 2019.
Si tratta quindi di una tra le più piccole Docg italiane.

Vigneto a Bellussera

Nel mese d’ottobre eravamo stati invitati ad un press tour nel territorio di produzione di questo vino, alla scoperta sia del Borgo Malanotte come del tradizionale sistema d’allevamento utilizzato in loco: la Bellussera.
Purtroppo verso la fine del mese la situazione sanitaria dovuta al Covid ha sconsigliato qualsiasi spostamento e quindi mercoledì 18 novembre s’è sopperito con un webinar (che non è certo la stessa cosa che recarsi sul posto) al quale hanno partecipato Stefano Quaggio, direttore del Consorzio Vini Venezia, Diego Tomasi, responsabile del CREA (Centro di ricerca sulla viticultura e l’enologia), i produttori Antonio Bonotto, Alessandro De Stefani (Azienda De Stefani), Simone Cecchetto (Azienda Ca’ di Rajo) e Angelo Facchin (Azienda Facchin Antonio) ed il sommelier Federico Cocchetto.
Molto interessanti le visite (virtuali) nei vigneti attraverso i filmati proiettati.

La Bellussera

Vigneto a Bellussera

Negli ultimi anni i sistemi d’allevamento della vite si sono principalmente orientati verso le spalliere, ovvero viti disposte a filari paralleli e potati principalmente a Guyot od a Cordone speronato.
E’ pur vero che sopravvivono altri sistemi di conduzione dei vigneti come la Pergola, nelle sue varie forme (semplice, doppia, trentina etc.), ma anche l’Alberello sistema diffuso principalmente al sud o nelle isole.
Ce ne sono molti altri di sistemi, soprattutto in Italia, dove ogni regione vanta le sue tradizioni.

Tra i più curiosi ed elaborati sistemi d’allevamento non si può non citare la Bellussera o sistema Bellussi.
Questo prende il nome dai fratelli Bellussi che lo misero a punto verso la fine dell’ottocento nei vigneti della zona del Piave, tra le province di Treviso e Venezia.

Siamo in un periodo dove regnava la mezzadria e di conseguenza la policoltura, i vigneti raramente erano specializzati e si tendeva ad utilizzare per altre coltivazioni il terreno tra i filari, in genere piuttosto distanti tra loro, inoltre buona parte dei sostegni delle viti erano formati da tutori vini, alberi dunque.
I problemi che si ponevano erano numerosi e probabilmente il meno pressante era quello dovuto alla manodopera poiché le famiglie erano in genere molto numerose e quindi non mancavano di certo le braccia per potere realizzare e gestire un vigneto così complesso.

Il sistema inventato dai fratelli Bellussi nel corso di quasi trent’anni di sperimentazioni prevede infatti una disposizione ed una struttura del vigneto assai complessa con pali di sostegno alti sino a quattro metri (in origine s’utilizzavano tutori vini, soprattutto il gelso, cha aveva anche la funzione di fornire le foglie per l’allevamento dei bachi da seta) ed un labirintico intreccio di fili di ferro, disposti a raggiera per il sostegno dei tralci, richiedendo poi numerosa manodopera per la sua gestione.

Lo scopo di questo metodo di allevamento era quello di poter garantire la coltivazione di altre derrate (cereali in genere) tra i filari che potevano essere distanziati tra loro anche di 12 metri ed oltre, inoltre permetteva il massimo distanziamento dei grappoli dal terreno, per evitare ristagni d’umidità, forieri di malattie fungine e per garantire la corretta maturazione delle uve.
Il sistema serviva anche a gestire l’esuberanza del vitigno Raboso, per il quale era stato implementato, anche se poi fu utilizzato anche per altri vitigni, il Friulano (ex Tocai) principalmente.
Questo portava ad avere una densità di ceppi per ettaro molto bassa, che spesso non raggiungeva i 900 ceppi.

Vigneti a Bellussera visti dall’alto – Azienda Ca’ di Rajo

E’ fantastico osservare un vigneto allevato Bellussera dall’alto, sembra quasi di osservare un raffinato ricamo all’uncinetto (vedi foto).
Questa tipologia di vigneti, sino agli anni cinquanta diffusissima nelle zone attorno al fiume Piave, che s’era espansa anche in Romagna e della quale si trovano tracce anche in Argentina, portata da immigrati veneti, s’è estremamente ridotta, sempre il Consorzio parla di poco meno di 1.600 ettari in tutto il Veneto (anche se la cifra ci pare un poco elevata).
Il successivo passaggio ad altri sistemi d’allevamento più moderni (e più facili da gestire – la Bellussera non era neppur parzialmente meccanizzabile) avvenuto negli ultimi trent’anni, non è stato indolore ed ha portato ad iniziali errori, corretti cambiando i portinnesti e selezionando i cloni.
Attualmente, oltre al Guyot, viene utilizzato il Sylvoz, che sta dando ottimi risultati, mentre rimangono alcuni impianti a Bellussera.

Passiamo alla degustazione, che prevedeva tre diversi vini, di tre annate, di tre produttori, prodotti da uve coltivate con tre diversi sistemi d’allevamento delle viti.
Quindi assai interessante, anche per poter testare l’evoluzione del tempo del Malanotte del Piave.
In quanto all’analisi dell’influenza del sistema d’allevamento sul risultato finale del vino entrava in gioco la variabile dell’annata. Sarebbe quindi stato interessante, per una simile valutazione, avere tre vini della medesima annata.

Vigneti De Stefani

De Stefani – “Vigneto singolo” 2015
La storia dei De Stefani ha inizio nel 1866, quando Valeriano De Stefani inizia a coltivare la vite ed a produrre vini a Refrontolo. A partire dalla seconda metà del novecento vengono acquisiti vigneti, all’inizio degli anni novanta viene costruita la nuova cantina e nel 2007 viene messo a dimora il vigneto per la produzione del Piave Malanotte.

Attualmente l’azienda dispone di quattro diversi poderi, situati sia nei territori del Piave, come pure in Valpolicella e nella zona del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene.
La superficie vitata conta su 60 ettari per una produzione annuale di circa 400 mila bottiglie suddivise in oltre una ventina d’etichette, tra Spumanti (non solo Prosecco Superiore di Conegliano e Valdobbiadene), vini bianchi e rossi ed anche un passito da uve Marzemino, il Refrontolo Passito.

Il vino

Le uve per la produzione di questo vino provengono dal vigneto Terre Nobili, messo a dimora nel 2007 e situato a Fossalta di Piave; il suolo, d’origine alluvionale è composto d’argilla e di sedimenti di roccia dolomitica, il sistema d’allevamento è a Guyot con densità di 6.000 ceppi/ettaro.
La vendemmia si svolge a fine ottobre ed il 30% delle uve, come da disciplinare, vengono messe ad appassire per due mesi. Dopo la fermentazione alcolica, svolta in vasche di cemento, con periodici rimontaggi, una volta assemblato il vino viene posto in barriques dove rimane per 36 mesi, una volta imbottigliato seguono ulteriori 18 mesi di sosta in bottiglia.

Molto bello il colore, rubino intenso e compatto, con riflessi purpurei e sanguinei.
Intenso ed ampio al naso, alcolico, i sentori olfattivi sono tutte giocati su note surmature e sulla frutta, anche in confettura, ciliegia matura e ciliegia sotto spirito, prugna secca, non mancano accenni balsamici, di spezie dolci, vaniglia, di cioccolato e caffè.
Strutturato, con tannini ben presenti ma vellutati, rinfrescato da una buona vena acida, succoso, ritorna al palato la sensazione di confettura di frutta rossa, di prugna e ciliegia, con sentori di cioccolato alla menta (ricorda i cioccolatini After Eight), molto lunga la sua persistenza su piacevoli note amaricanti.
Un vino molto giovane, giocato sulla potenza, senza però perdere in freschezza.

Bellussera – Ca’ di Rajo

Ca’ di Rajo – “Notti di luna piena” 2013
Fondata nel 2005 e di proprietà della famiglia Cecchetto, l’azienda Cà di Rajo dispone di un centinaio d’ettari a vigneto, anche in Friuli Venezia Giulia, per una produzione totale di 900mila bottiglie.
Numerosi i vini prodotti (oltre una trentina) tra bianchi, rossi e spumanti, tra questi numerosi sono i Prosecco, sia a Doc che a Docg (Prosecco Superiore di Conegliano e Valdobbiadene).
L’azienda dispone di ben 15 ettari di vigneto allevato a Bellussera di settant’anni d’età, destinato alla produzione delle uve Raboso per la produzione del Piave Malanotte.

Il vino

I vigneti si trovano a Rai, frazione di San Polo di Piave, il sistema d’allevamento è il Bellussi, con densità di 1.800 ceppi/ettaro con orientamento Sud-Nord, i suoli sono argillosi e sabbiosi, con presenza di ghiaia, la resa per ettaro è di 50 q.li.
Il 70% delle uve vengono raccolte surmature, mentre il restante 30% viene appassito per 40 giorni in fruttaio.
La vinificazione prevede una macerazione che si protrae per tre settimane in tini di legno da 35 ettolitri, mentre l’affinamento prevede una sosta in botti da 12 ettolitri per 36 mesi per quanto riguarda il vino ottenuto dalla parte d’uva surmatura e 24 mesi in barriques per quelloò prodotto da uva appassite.
Dopo l’assemblaggio il vino s’affina per ulteriori sei mesi prima della messa in commercio.

Il colore è granato di buona intensità e profondità.
Meno intenso al naso rispetto al precedente vino, ampio e molto elegante, fresco, con un bel frutto che presenta leggere note surmature, balsamico e mentolato, vanigliato, con accenni floreali e vegetali e ricordi di cioccolato bianco, di polvere di caffè e di pepe.
Molto fresco al palato, succoso, di buona struttura, si colgono le ciliege mature, la prugna secca e le sfumature vegetali, ritroviamo le note mentolate, vanigliate e di polvere di caffè, bella sua trama tannica e lunga la sua persistenza su leggeri accenni pepati.
Un vino questo più giocato sull’eleganza che non sulla potenza.

Particolare vigneto – Azienda Facchin

Antonio Facchin & Figli – “Unno” 2010
L’azienda, a carattere familiare, è nata nel 1870 ad opera di Antonio Facchin, dai pochi ettari iniziali allevati a Raboso, s’è sviluppata sino ad arrivare agli attuali 70.
Una ventina i vini prodotti, dagli spumanti, principalmente Prosecco, ai vini bianchi ed a quelli rossi.

Il vino

Il vino in degustazione, che in etichetta riporta Attila a cavallo (pare che il capo degli Unni sia passato da qui) viene prodotto con uve Raboso del Piave provenienti da vigneti condotti a Sylvoz con resa di 80 q.li/ettaro,  su suoli di diversa natura, sassosi nel pressi del Piave ma che divengono sempre più argillosi all’approssimarsi delle colline.
La vendemmia è stata effettuata tra la fine d’ottobre ed i primi di novembre  ed il 30% delle uve è stato sottoposto ad appassimento in fruttai sino a fine gennaio, l’affinamento s’è avvalso di 24 i mesi di sosta in acciaio e 36 mesi in botti di rovere da 15 ettolitri, ai quali sono seguiti 12 mesi di bottiglia.

Il colore è granato profondo di buona intensità.
Note terziarie al naso, di cuoio, goudron, sottobosco, foglie secche e radici, non mancano però i sentori di frutta, prugna secca, ciliegia sotto spirito e more con la loro tipica nota acida, ma anche frutta secca, come noci e castagne, permangono accenni di legno.
Strutturato ed alcolico, con note di spezie piccanti, pepe, ma anche peperoncino, tornano i sentori di frutta secca, il tannino è asciutto e ancora ben presente e dona al vino freschezza, nuovamente si colgono le note date dal legno unitamente a ricordi di radice di genziana, lunga la sua persistenza.
Lorenzo Colombo