San Giovenale: dedicato a chi pensa d’aver già visto tutto
Se pensate d’aver già visto tutto quanto riguarda il mondo del vino fate un salto a Blera, piccolo comune del viterbese situato una quindicina di chilometri a sud del capoluogo provinciale.
Qui, in Località La Macchia (non ci si si passa per caso, occorre venirci apposta), pochi chilometri a sud del paese, si trova l’azienda San Giovenale, fondata nel 2006 da Emanuele Pangrazi.
Ma cos’ha di così particolare quest’azienda da differenziarla da tutte le altre (e v’assicuriamo d’averne viste moltissime) che producono vino?
Semplicissimo: il vigneto.
Certo che tutte le aziende vitivinicole hanno un vigneto, ma non n’avevamo mai visto uno con una densità di 41.200 ceppi/ettaro (pensiamo sia il caso di scriverlo anche in lettere maiuscole nel caso qualcuno pensi si tratti d’un errore, QUARANTUNOMILADUECENTO ceppi/ettaro), ovvero un sesto d’impianto (viti ad alberello sostenute da tutori) che prevede una distanza tra le viti di 35 centimetri e di 70 centimetri tra i filari.
Una cosa impressionante, difficile da credere se non la si vede.
Si tratta di un vigneto sperimentale messo a dimora nel 2013 -sotto la supervisione dell’ARSIAL– con vitigni a bacca bianca, Marsanne, Roussanne e Malvasia Puntinata.
In 2.000 metri quadri sono state impiantate 8.000 barbatelle, metà di Marsanne e metà di Roussane, più 500 piantine di Malvasia Puntinata.
Nel 2015 c’è già stata la prima piccola produzione e nel 2018, ovvero dopo i fatidici cinque anni previsti dalla burocrazia, l’ARSIAL ha approvato il progetto e nel 2019 si sono ottenuti i primi 228 litri (una piece) di questo nuovo vino, frutto di un blend tra i due vitigni francesi (non è quindi stata utilizzata la Malvasia).
Visti i risultati ottenuti Emanuele nel 2019 ha messo a dimora altri due ettari con questi vitigni e con questa densità d’impianto, il nome del vino è Habemus Etichetta Oro.
Oggi l’azienda dispone di 15 ettari a vigneto -10 dei quali in produzione- con una densità di 11.000 ceppi/ettaro, se ne ricavano meno di 10.000 bottiglie, ovvero meno di 1.000 bottiglie ad ettaro, la resa infatti è bassissima, 25 q.li/ettaro, due i vini prodotti, entrambi Lazio IGT, scelta quest’ultima accettata (sarebbe più corretto scrivere “subita”) solamente per poter indicare in etichetta l’annata del vino (Emanuele, ma anche altri produttori della zona vorrebbero fortemente poter etichettare i loro vini come Tuscia Doc, peccato però che questa denominazione -al momento- non esista).
Tornando ai vini, entrambi hanno lo stesso nome: Habemus, cambia solamente il colore dell’etichetta, rossa per il Cabernet franc in purezza (1.000 le bottiglie prodotte dell’annata 2017) e bianca per il vino frutto di un blend tra quattro vitigni, ovvero 40% Grenache, 30% Syrah, 20% Carignan e 10% Tempranillo, la cui produzione, relativa all’annata 2018 è stata di 8.000 bottiglie.
Nel paio d’ore che Emanuele ci ha dedicato abbiamo avuto l’opportunità di vedere l’ampliamento della cantina, con spazi adatti a produrre quantitativi di vino ben maggiori rispetto a quelli previsti.
Emanuele utilizza unicamente barriques nuove di provenienza francese, scegliendole tra i migliori produttori per i suoi vini, le piccole botticelle sono posizionate su un unico piano in modo da rendere più semplice il lavoro di controllo e di colmatura, operazioni che vengono eseguite maniacalmente.
La nuovissima cantina, della quale è appena terminato l’ampliamento con il raddoppio della superficie, è completamente sostenibile, l’energia per il suo funzionamento viene ricavata da un impianto di geotermia e da un sistema fotovoltaico.
Il tempo che avevamo a disposizione è passato così velocemente che non abbiamo avuto neppure la possibilità d’assaggiare i vini, anche se in realtà ne abbiamo assaggiato le varie componenti, ancora allo stato embrionale di quello che poi saranno i vini.
Abbiamo infatti assaggiato, prelevati direttamente dalle barriques nelle quali si stanno affinando, il frutto dei singoli vitigni: Tempranillo, Syrah, Grenache, Carignan e Cabernet franc, tutti vini caratterizzati da un’estrema pulizia e nitidezza.
Tra i vari progetti di Emanuele c’è anche quello di produrre con questi una piccolissima partita di vini da monovitigno, da vendersi in un’unica confezione che li comprenda tutti e cinque.
Il primo di questi vini uscirà già quest’anno e si chiamerà Habemus Etichetta Blu, prodotto con uve Grenache in purezza e non vediamo l’ora d’assaggiarlo.
Lorenzo Colombo