Lorenzo Colombo Blog Io e il vino
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Caseificio Agricolo Radichino

Cacio e ristorazione tra Tuscia e Sardegna

Premessa necessaria: Nei giorni scorsi, rovistando nella nostra cella frigorifera dedicata a salumi e formaggi, scoviamo un pacchetto sottovuoto contenente un formaggio visibilmente stagionato.
Il nome scritto a pennarello sulla busta è ormai illeggibile. Apriamo il pacchetto ed un forte, ma piacevolissimo profumo ci pervade. Assaggiamo il cacio e lo troviamo buonissimo, anche se con un sapore piuttosto “intenso”.
Ora ci ricordiamo.
L’avevamo avuto l’anno scorso, durante il mese d’agosto, durante una visita ad un caseificio situato nella Tuscia viterbese. A questo punto andiamo a rivedere gli appunti presi in quell’occasione, e nonostante sia passato un anno riusciamo a ricostruire quanto segue.
Buona lettura.

La strada bianca, tortuosa e polverosa pare non finire mai.
Abbiamo lasciato la provinciale 47 poco dopo Farnese, dal Lago di Bolsena stiamo andando a visitare il caseificio Radichino, dei fratelli Pira, nostra guida è l’amica Francesca Mordacchini Alfani.
Un rudimentale cartello di legno ci segnala che non ci siamo persi, la strada è quella giusta.
Arriviamo infine in Località Le Chiuse, in aperta campagna, il comune è quello di Ischia di Castro, anche se il paese si trova ad una dozzina di chilometri.
In uno spiazzo con diverse costruzioni,  troviamo l’azienda dei F.lli Pira, ci chiamano subito Gianni, uno dei due fratelli (l’altro è Tonino).
Gianni ci conduce in un ampio locale, le sedie capovolte sono sui tavoli, è giorno di pulizie, ieri era ferragosto e  l’Agriristoro era pieno.
Perché in realtà il CASEIFICIO AGRICOLO RADICHINO è molto più di un semplice caseificio dove si lavora unicamente il latte prodotto da capi di proprietà, circa 1.500 pecore ed un’ottantina di capre, ma da poco più d’un anno è stato aperto un agriristoro. Qui vengono serviti, oltre che formaggi e salumi di propria produzione, anche confetture preparate in casa dalla madre dei due fratelli, Giuliana, anche piatti tipici, sia sardi (la famiglia è di origini sarde, il padre Carmelo si è trasferito qui negli anni cinquanta ) che della Tuscia.

In fondo al locale, sulla destra s’apre l’ampio bancone destinato alla vendita con in bella mostra oltre una ventina di tipologie di formaggio, tutti prodotti a latte crudo, sia ovini che caprini, nelle tipologie fresco, semi-stagionato e stagionato.
Gianni ce ne fa assaggiare diversi, passando dal primo sale di pecora all’erborinato naturale di pecora, tutti molto buoni, seppur nelle loro diverse caratteristiche organolettiche e ci spiega le grandi differenze esistenti tra i formaggi di pecora e quelli di capra.

Ci piace molto il Don Carmelo morbido, formaggio di pecora, fresco, ci ricorda il latte, ma la nostra preferenza (personale ovviamente) va ai formaggi più stagionati, come l’Erborichino, una caciotta di pecora semi-stagionata  con muffe naturali, ovvero senz’alcun inoculo, la forma viene unicamente forata con gli aghi e l’erborinatura deriva unicamente dalle muffe presenti nell’ambiente.
Tra i semi-stagionati ci sono molto piaciuti anche il Poggio Conte, una specie di stracchino di capra ed il Radichino, che da nome al caseificio, un formaggio di pecora semiduro.
Infine ecco l’Hercle, una caciotta di pecora con trenta giorni d’affinamento e il Don Carmelo stagionato.
Il formaggio (buonissimo) di cui parliamo all’inizio era probabilmente  quest’ultimo. Almeno crediamo.
Lorenzo Colombo
pubblicato in origine su www.vinealia.org