Garantito IGP: Canned wine? Non è un fumetto!
Tanto per chiarire, vengo dalla generazione che più di trent’anni fa assaggiò i cosiddetti wine cooler, una specie di bevanda alcoolica fatta tagliando il vino col succo di frutta, roba alla quale pure il coevo 8 e 1/2 Giacobazzi (sponsor prima e poi sponsorizzato nientepopodimento che da Gilles Villeneuve) faceva vento.
Figuriamoci quindi se mi fa impressione la notizia dell’uscita sul mercato di un nuovo vino in lattina, lanciato settimane fa dalla veronese Zai (l’acronimo sta per Zona Altamente Innovativa ed è identico alla Zona Agricola Industriale che ospita il Vinitaly, “in cui l’azienda ha avuto origine”, ammettono i fondatori), che tanto fa arricciare il naso al conformismo enoico nazionale.
Quindi nessun pregiudizio, solo curiosità.
Infatti mi sono fatto mandare i campioni e, lo dico subito, l’assaggio del prodotto non è affatto catastrofico come era facile pronosticare.
Perchè non è solo l’aspetto organolettico ciò che conta in questi casi, ma quello sociale e commerciale.
Andando per ordine, i canned wines sono sei e sono modulari, nel senso che fanno parte di un progetto di marketing unico e coordinato, all’interno del quale nessun prodotto può fare a meno degli altri. Diciamo insomma che si tratta di un paniere di lattine che fanno capo a un’unica storia, disegno, grafica e filosofia.
Zai, che si autodefinisce “urban winery“, punta dichiaratamente ai mercati nel Nord America o almeno ad essi si ispira e si ammanta di un’aura green. “Le nostre referenze sono frutto di un lungo studio enologico. Per esempio Gamea, uno dei vini top di gamma è il frutto di ben quattro vendemmie, anziché una, condotte tutte a mano”.
C’è da sorridere?
Sì, ovviamente, se si vuole parlare con disincanto. Ma anche no. Può anche darsi infatti che il business possa funzionare e di per sè non ha nulla di scorretto.
Ecco i vini (nb: tutti vegani e bio, tranne il PJ White, e tutti confezionati in lattine di alluminio da 25 cc), con relativa “storia” e mie note si assaggio:
Conclusioni: fuori dallo snobismo, è un’operazione commercialmente interessante e, probabilmente, anche indice di un trend abbastanza netto. Non nel senso della novità in sè, ma il fatto che ci si investa con modo così deciso significa che il mercato potrebbe essere maturo. Sul piano puramente qualitativo, si tratta di prodotti ben fatti e dignitosi, spesso non peggiori di quelli di pari prezzo in bottiglia. Del resto, è chiaro che chi compra vini del genere lo fa con la leggerezza di chi non cerca bevute impegnative, ma anzi, col vino, acquista ciò che esso ha intorno: praticità, evasione, intrattenimento.
La cosa più divertente? Prima la ricerca e poi l’assaggio comparativo alla cieca con vini comprati in GDO.
Non si finisce mai di imparare.
Stefano Tesi