Garantito IGP: Il vini dell’Abbazia di Monte Oliveto e lo spirito dei luoghi
La settimana scorsa, su questa rubrica, l’ottimo Luciano Pignataro si interrogava sul significato da dare all’espressione “vino elegante”.

Don Andrea Pintus e Gianni Terzuoli
Per parte mia voglio rilanciare e chiedere: che vuol dire, invece, “vino territoriale”?
In teoria è facile rispondere: dicesi territoriale il vino che rispecchia il territorio in cui nasce e viceversa.
Ma in pratica?
In pratica credo sia difficilissimo: per farlo con serietà di argomenti è necessario possedere una conoscenza così specifica e particolare di suoli, luoghi, climi, odori, essenze, usi, tecniche e così via possibile solo a chi (o quasi) nelle zone interessate ci vive ed è perciò capace di cogliere sfumature e sentori “ambientali” altrimenti non individuabili.
Ebbene, di recente ho avuto l’opportunità di assaggiare dei vini che ho davvero trovato territoriali. E lo dico a ragion veduta, in quanto prodotti più o meno a casa mia, nelle Crete Senesi.
Perdersi qui e ora nell’inesauribile aneddotica su questo luogo straordinario, dall’atmosfera profondamente mistica, rischierebbe però di distogliere l’attenzione dal vino in sè. Anche se per comprenderlo a fondo occorre anche sapere che, come forse da nessun’altra parte, nella grande fattoria olivetana la compenetrazione tra agricoltura, missione, tradizione, stile di vita è assoluta. E in nessun caso se ne potrebbe prescinderne. “Il rapporto lavoro-liturgia è per noi vitale”, spiegano l’economo generale don Antonio e in responsabile della produzione vinicola don Andrea. “Per restare al comparto vitivinicolo, basti dire che ogni operazione in vigna e in cantina, dall’inizio della vendemmia all’imbottigliamento, fa sempre riferimento a precise ricorrenze liturgiche”.
Ancora più recente la svolta qualitativa, con l’abbandono della cantina storica nelle viscere del monastero (ora trasformata in affascinante luogo di vendita diretta e di degustazione, nonché tappa obbligata della visita al grande complesso), la realizzazione della nuova, il passaggio al biologico (“il biodinamico non è invece di nostro interesse”, specificano i monaci), e un restyling enologico generale i cui frutti si sentono, eccome, nel bicchiere.
La prima di queste evidenze è la coerenza stilistica tra i vari vini. Il che non guasta, vista anche la vastità della produzione: ben otto etichette, cui si aggiungono liquori, distillati e amari, tra i quali la tradizionale Flora a base di erbe.
Ecco una carrellata degli assaggi che più ci hanno convinto:
– In Albis 2021 Toscana Igt, un Vermentino al 100% decisamente fuori dal comune, oro pieno all’occhio, naso screziato con note quasi mature e accenni di ginestra e fiori di campo, bocca sapida e consistente, appena amarognola: un vino godibile e terragno, anzi “territoriale”;
– Sancte Benedicte 2021 Toscana Igt, Sangiovese 100% fatto solo in acciaio: è il rosso “d’ingresso” della gamma ma spicca per ricchezza olfattiva e pulizia, molto diretto e verace, gratificante nonostante la gradazione importante (14°);
– “1319” 2018 Toscana Igt, fatto col 60% di Sangiovese, il 30% di Cabernet sauvignon e il 10% di Merlot, è il vino creato per il 700° della fondazione dell’Abbazia: selezione delle uve in vigna, poi vinificate separatamente e messe per un anno in botte da 27 hl (95%) e tonneaux (5%). Rosso ovviamente importante, dal colore rubino intenso e caldo e dal naso solenne, quasi austero, equilibrato ma ricco di sfumature che si ritrovano al palato in una rotondità niente affatto stucchevole (ci sono però cambi in vista: dalla vendemia 2021 viene prodotto in un tino-botte, spiega Terzuoli);
– Passito del Priore 2021, Toscana Igt da uve Vermentino 100% lasciate appassire per due mesi sui graticci, poi torchiate e fatte fermentare in acciaio per 45 giorni con un po’ di bucce, il tutto viene messo in barrique per cinque mesi: ne risulta un vino di colore paglierino dai riflessi verdognoli, molto fruttato e suadente al naso, che in bocca si mantiene agile ma dura a lungo, rivelandosi particolarmente gradevole e versatile.
Ora, se dicessimo che i vini di Monte Oliveto valgono da soli la visita faremmo un grave torto tanto all’abbacinante bellezza artistica, architettonica e paesaggistica del luogo, quanto al messaggio più ampiamente culturale e spirituale di cui esso è portatore.
Ma faremmo anche un torto ai vini dicendo che essi rappresentano solo un quid pluris della visita, nemmeno fossero una sorta di souvenir. Non a caso, su prenotazione, si possono fare anche degustazioni guidate.
Come spesso accade, la verità sta nel mezzo. Ed è pure la meno prevedibile: tranne qualche rara eccezione nei ristoranti in zona, infatti, attualmente l’unico modo per procurarsi i vini dell’Abbazia è andarci di persona (cosa di cui, come detto, vale assai la pena). Oppure comprarseli sull’e-commerce della congregazione.
Più territoriali di così…
Amen.
Stefano Tesi