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Albino Armani : le 5 vie della sostenibilità in viticoltura

Come recita il nome dell’azienda “Albino Armani – Viticoltori dal 1607” la storia di quest’azienda parte da molto lontano, la famiglia Armani s’è infatti insediata in Vallagarina il 7 dicembre 1607, dedicandosi sin da subito alla viticoltura, identificandosi e creando un tutt’uno col suo territorio.

Vigneti in Valdadige

“Io sono di questa valle. Come un sasso, come una pianta, sono legato a questa terra. Non conosco un altrove se non per ritornare, è naturale. Qui ci si educa, dal silenzio delle piccole cose, a stare al proprio posto, a fare ciò che si deve fare. Il tempo della vite e del vino è un tempo dilatato, a volte di anni, di generazioni”, così si presenta infatti Albino Armani.

Lo sviluppo dell’azienda è però iniziato una settantina d’anni fa, quando il padre di Albino ha cominciato ad uscire da questo territorio espandendosi su altri areali, si è così giunti agli attuali 330 ettari di vigneti in proprietà, suddivisi in cinque tenute tra Trentino, Veneto e Friuli Venezia Giulia, inoltre Albino Armani s’avvale di un centinaio di conferitori, per una produzione di oltre un milione di bottiglie all’anno.

La prima tenuta in assoluto è quella della Vallagarina, dove la famiglia Armani s’è insediata oltre 400 anni fa, dedicandosi alla viticoltura, qui, su vigneti allevati sia  a pergola che a Guyot, si coltivano Chardonnay, Gewürztraminer, Pinot nero, Marzemino e Schiava, su suoli di natura morenica ed alluvionale.

Vendemmia in Valdadige

Negli anni cinquanta il padre di Albino acquista sia vigneti che frutteti, in Valdadige, qui su suoli calcarei ricchi di porfidi si coltivano vitigni internazionali, come Pinot grigio e nero, Chardonnay e Sauvignon ma viene data anche grade importanza al recupero di varietà autoctone ormai quasi scomparse, come Casetta, detta anche Foja Tonda, Enantio (Lambrusco a foglia frastagliata) e Nera dei Baisi, con numerosi ceppi franchi di piede centenari.
Il vigneto prospicente la cantina, situata a Dolcè, raccoglie una collezione di 13 vitigni della Vallagarina a rischio d’estinzione.

Nel Friuli Venezia Giulia Armani arriva a fine anni novanta, lo fa a Sequals, paese noto soprattutto per aver dato i natali a Primo Carnera, siamo nel cuore delle Grave, dove i terreni sono prettamente sassosi, oltre ai tradizionali vitigni locali come Ribolla gialla, Refosco e Friulano qui si trovano anche gli onnipresenti Cabernet sauvignon, Chardonnay e Sauvignon blanc.

All’inizio degli anni 2000 Albino torna ad occuparsi del Veneto, con una tenuta nella Marca Trevigiana in collaborazione con l’enologo Maurizio Donati.
La tenuta è condotta secondo i principi della biodinamica e quasi tutti i vini sono fermentati in anfora, vi si producono inoltre vini frizzanti rifermentati in bottiglia.

L’ultima tenuta in ordine di tempo è quella della Valpolicella, situata in località Camporal, nel comune di Marano di Valpolicella, a 500 metri d’altitudine, nella parte più alta della zona Classica.

Nonostante le dimensioni raggiunte Albino mantiene una visione “sostenibile” nel suo approccio alla viticoltura ed alla produzione dei vini e, dal 2019 tutti i suoi vigneti s’avvalgono della certificazione  SQNPI – Sistema di Qualità Nazionale Produzione Integrata, e sta convertendo anche tutti i suoi conferitori ad adottare questo principio.

La SQNPI ha l’obbiettivo di ridurre gli impatti ambientali in agricoltura riducendo drasticamente l’uso delle sostanze chimiche e razionalizzando le pratiche agronomiche.

Durante l’incontro -in remoto- realizzato martedì 24 novembre, nell’ambito di w2w Exibition, evento organizzato da Verona Fiere, Albino Armani ha analizzato e spiegato i cinque punti che ritiene fondamentali per una viticoltura sostenibile, eccoli:

1)      Scelta di Habitat idonei
Pare una cosa scontata, ma in realtà non sempre lo è e spesso questo è dovuto a ragioni di marketing.
Per dare il meglio ogni vitigno richiede delle condizioni di habitat ideali, tra le quali suoli e climi, ci sono vitigni che prediligono zone calde ed altri zone fredde, è il caso, quest’ultimo, del Pinot grigio che essendo un vitigno (ed un vino) che sta riscuotendo un grande interesse a livello mondiale, purtroppo viene messo a dimora anche in zone non adatte a valorizzarlo al meglio.
Per questo motivo il Consorzio vini Veneti, di cui Albino Armani è presidente, ha bloccato i nuovi impianti, onde evitarne il dissennato proliferare.

2)      Scelta dei lieviti
La grande biodiversità che si trova nei vigneti di Albino Armani ha permesso lo sviluppo di un’ottantina di lieviti diversi, da questi sono stati selezionati i 21 migliori, per giungere infine, dopo un’ulteriore selezione a 4 ceppi, che sono quelli che vengono utilizzati.
Si tratta quindi di lieviti selezionati in campo.

3)      Controllo delle avversità
Da oltre 10 anni s’è scelto di condurre la lotta contro gli insetti nocivi tramite la confusione sessuale, pratica poi adottata della maggior parte di produttori trentini.

4)      Vitalità del suolo
Nella gestione dei vigneti viene utilizzata la tecnica del sovescio e la concimazione con letame bovino tramite una collaborazione con gli allevatori del territorio.

5)      Responsabilità ambientale e sociale
Si è molto badato al risparmio energetico durante la progettazione e la costruzione della nuova cantina in Valpolicella, completamente interrata e ricoperta da 80 centimetri di terra non necessita d’essere né raffrescata né riscaldata, è inoltre dotata di doppie pareti, l’intercapedine tra le quali crea una ventilazione che evita il riscaldamento degli ambienti.
infine i fruttai d’appassimento delle uve sono posti in direzioni tali da favorire la ventilazione naturale.

Durante la presentazione Albino ci ha proposto la degustazione di due versioni del suo Pinot Grigio provenienti dalla Valdadige, il primo prodotto con una classica vinificazione in bianco condotta in acciaio, mentre nel secondo vino si è attuata una macerazione sulle bucce.

Nella parte meridionale della Valdadige infatti il clima, caratterizzato da forti escursioni termiche e dal soffiare costante del vento, fa sì che ci siano le condizioni ideali per la coltivazione del Pinot Grigio.

 – Valdadige Doc Pinot Grigio “Corvara” 2019
Le uve provengono dalla parte più meridionale della Valdadige, in provincia di Verona, i suoli sono di natura morenica per quanto riguarda le colline e di natura alluvionale lungo le sponde dell’Adige, i sistemi d’allevamento prevedono sia la tradizionale pergola trentina quanto il Guyot.
La vinificazione si svolge in vasche d’acciaio dove il vino sosta sui lieviti sino al momento dell’imbottigliamento.

Il colore è paglierino luminoso, con riflessi verdolini.
Intenso al naso, fresco e pulito, fruttato, si colgono principalmente sentori di pesca gialla matura, di mela renetta e di pera, uniti ad accenni d’erbe officinali ed a note floreali.
Fresco al palato, fruttato (nuovamente la pesca gialla ma anche la mela), succoso e sapido, presenta una leggera nota speziata che rimanda allo zenzero, si coglie inoltre una nota agrumata d’arancio maturo, lunga la sua persistenza.

 – Valdadige Terra dei Forti Doc Pinot Grigio “Colle Ara” 2019
Anche le uve per la produzione di questo vino provengono dalla parte meridionale della Valdadige, qui si è però scelto un’altra denominazione, ovvero Valdadige Terradeiforti, zona dove i suoli sono prettamente calcarei, composti da detriti glaciali.
Le uve vengono selezionate tra i migliori vigneti allevati a Guyot, dopo la pigiatura il mosto rimane a contatto con le bucce per circa 12 ore (nell’annata 2020 si sta provando una macerazione di una decina di giorni), la maggior parte della massa viene quindi vinificata in vasche d’acciaio dove rimane sui lieviti,  mentre un parte s’affina in legno

Il colore è il tipico ramato dei Pinot grigio macerati sulle bucce, luminoso e mediamente intenso.
Intenso al naso dove riscontriamo sentori di mela cotogna, di bucce d’uva, di frutta tropicale, d’agrume maturo e di fiori secchi.
Di buona struttura, asciutto, con bella vena acida e leggeri accenni tannici, tornano le note fruttate di pesca gialle e d’albicocca matura, pare inoltre di mordere una mela cotogna, molto lunga la sua persistenza su leggere note di miele.
Lorenzo Colombo

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