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Garantito IGP: Barbera del Sannio o Camaiola, quella buona è di Monserrato 1973!

Organizzando da tanti anni la manifestazione Beviamoci Sud Roma, dedicata alle eccellenze vitivinicole del nostro bel Meridione, mi sono accorto che la zona del Sannio, anno dopo anno, sta investendo moltissimo in termini di comunicazione e bontà del prodotto grazie ad un miglioramento delle pratiche sia agricole che di cantina. Tra le tante aziende sannite che vale la pena di seguire, sicuramente un posto importante lo merita Monserrato che nasce nel 1973 dalla volontà del Cavalier Francesco Zecchina, costruttore edile napoletano e appassionato di vini, di seguire la propria passione sulle colline intorno Benevento, a piedi del Monte Serrato. Su una superficie di circa 60 ettari furono piantati tabacco (coltura molto fiorente nella zona del Sannio tra gli anni 50 e 80), ulivi e una piccola parte in vigneto destinati, fino agli anni ’80, solo per autoconsumo.

Lucio Murena

Oggi, grazie a Lucio, nipote di Francesco, Monserrato 1973 sta vivendo una seconda giovinezza grazie ad un cambio approccio che ha permesso all’azienda, grazie ad un importante riassetto qualitativo e quantitativo dell’attività agricola, oggi totalmente biologica, di diventare un sistema a cerchio completo, come le antiche fattorie, dove si coltiva e trasformano quasi tutti i frutti che in essa vengono coltivati e raccolti.

All’interno dei 60 ettari di cui è composta, circa 14 sono destinati a vigneto dove vengono coltivati, secondo le antiche tradizioni, tutti autoctoni: falanghina, aglianico, piedirosso e camaiola (barbera del Sannio).

Tra i vari vini di Monferrato 1973 che ho avuto il piacere di degustare una menzione speciale va sicuramente al Levata, falanghina in purezza dai tratti mediterranei, e alla loro Barbera del Sannio DOP 2021 che, senza dubbio, è stato il mio vero e proprio “coup de cœur”.

Prima di dare conto delle mie motivazioni è opportuno sottolineare che il camaiola, varietà da pochissimo iscritta nel Registro nazionale della varietà di vite da vino, è stato per tantissimo tempo chiamato barbera del Sannio pur non avendo nulla a che vedere col il grande vitigno piemontese. Una confusione, questa, che ha origini nel paese sannita di Castelvenere dove, soprattutto negli anni ’70, per combattere i vuoti lasciati dal flagello della fillossera e, perché no, per andare incontro alle nuove tendenze, ci fu una invasione di vitigni provenienti da altri territori il che, inevitabilmente, creò problemi circa l’esatta conoscenza delle uve, delle classificazioni e dei nomi delle singole varietà. Siccome la barbera piemontese all’epoca era molto conosciuta sull’intero mercato italiano, si pensò bene, un po’ furbescamente, di darne il nome all’anonimo vitigno di Castelvenere, cercando in questo modo di piazzarlo meglio sul mercato. La barbera diventa quindi Barbera del Beneventano IGT e poi nel 1997 conquista la doc Sannio. Oggi è ormai chiaro che con la barbera piemontese non ha nulla a che vedere, ma si tratta del “Camaiola”, una varietà tintora, dal colore intenso, dai profumi di frutta rossa succosa e dallo scarso potere tannico.

Tornando finalmente al Barbera del Sannio 2021 di Monserrato 1973, vinificato in acciaio e affinato per 8 mesi sia in anfora sia in acciaio, ciò che mi ha colpito di questo vino è stata la sua apparente semplicità unita alla sua capacità di essere praticamente un delizioso jolly a tavola. Nel particolare questa Camaiola, dal color rosso tendente al violaceo, è puro varietale grazie ad una piacevolezza di frutto dolce e succoso che conquista sin dal prima approccio dove sfilano in parata, senza caricature, profumi carnosi di ciliegia, mirtillo, prugna secca a cui si aggiungono sensazioni scure di rabarbaro, eucalipto, pepe rosa e peonia. Il sorso intenso, godurioso grazie ad una limitata trama tannica che non inchioda il palato che rimane irrorato per minuti da una massa fruttata ben supportata da una vena acida che rende la beva inarrestabile tanto che una bottiglia, in due, è finita (troppo) presto.

Senza dubbio un vino per bere una volta tanto “senza pensieri” che consiglierei di inserire alla mescita a tutti i wine bar che puntino alla qualità dell’offerta.
Andrea Petrini