Garantito IGP: Cantine Belisario e quel mito chiamato “Cambrugiano”
Considerato il bianco vestito di rosso e, secondo il New York Times, un vino assolutamente da scoprire, il Verdicchio di Matelica è una nicchia di qualità tra le denominazioni marchigiane tutelate dall’Istituto marchigiano di tutela vini (Imt). Doc dal 1967 e dal 2010 anche Docg con la tipologia Verdicchio di Matelica Riserva, la denominazione si estende su 286 ettari, divisi tra 19 aziende vitivinicole, attraverso i comprensori di 8 comuni (Matelica, Esanatoglia, Gagliole, Castelraimondo, Camerino e Pioraco nella provincia di Macerata; Cerreto D’Esi e Fabriano in quella di Ancona), nel cuore dell’Alta Vallesina, la sola vallata marchigiana con disposizione Nord-Sud.
Tra i produttori di Matelica la parte del leone la fa sicuramente Cantine Belisario visto che, più o meno, produce circa il 75% del vino di tutta questa piccola denominazione. L’azienda, nata nel 1971, è ancora oggi è una vivace realtà cooperativa che si estende su oltre 300 ettari vitati vantando una cantina di 30.000 Hl di capienza sapientemente gestita dall’enologo Roberto Potentini che vanta collaborazioni all’interno molte cantine marchigiane tra cui La Monacesca.
Grandi numeri, vero, soprattutto per le Marche, ma sbaglieremmo se pensassimo a Belisario alla stregua di tante realtà cooperative, che si ritrovano spesso in Italia, dove si fanno solo numeri e poca qualità. No, avremmo un falso pregiudizio perché la cantina, negli anni, ha sempre mantenuto una qualità media decisamente importante andando a produrre, tra l’altro, quello che per molti è stato un vero e proprio “faro enologico” per tutta la denominazione ovvero il “Cambrugiano”.
Per celebrare gli oltre trenta anni di produzione del Cambrugiano, al quale è stato anche dedicato un bellissimo libro, guidati da Roberto Potentini e dal Presidente Antonio Centocanti, si è organizzata a Matelica una bella verticale storica che, partendo dall’annata 2017, ci ha fatto tornare indietro nel tempo fino al millesimo 1994.
Di seguito le mie note di degustazione:
Andrea Petrini