Garantito IGP: Trent’anni di Novecento Chianti Classico Riserva Dievole
Adoro le verticali, perché consentono di capire molto non solo sull’evoluzione di un vino in sé (che non è poco, comunque), sulle aziende che lo producono e la loro storia ma, più in generale, anche sui mercati vinicoli, l’economia e le abitudini di consumo che una società, bevendo il vino, esprime nel tempo.
Quella che, alcune settimane fa, Dievole – storica azienda chiantigiana, dal 2012 parte del gruppo Abvf Italia facente capo al magnate argentino Alejandro Bulgheroni – ha allestito per il trentennale 1990-2019 del suo Novecento Chianti Classico Riserva è stata, nel senso detto sopra, illuminante.
La ricorrenza era, in qualche modo, tonda, visto che il Novecento fu creato per celebrare un altro anniversario, il novecentenario della prima attestazione storica del toponimo (“Diulele”), contenuta in un documento del 1090 conservato all’Archivio di Stato di Siena.
Si è trattato di una degustazione in due fasi.
La seconda degustazione, libera, ha interessato invece tutte le venticinque vendemmie disponibili, le bottiglie della quale – diamo merito alla tenacia e al non indifferente impegno degli organizzatori – sono state reperite ad hoc dall’azienda sul mercato internazionale e con non poche difficoltà visto che, nelle cantine, non ne era rimasto neppure un esemplare. Alla fine sono mancate all’appello e al bicchiere solo la 1991, la 1992, la 1999, la 2000 e la 2002.
Un po’ meno convincenti, ma più che bevibili, il 1993, che conteneva anche un po’ di Trebbiano ed è risultato piuttosto evoluto, con accenni balsamici e un palato sapido, e il 1995, un vino più affilato, quasi tagliente, a tratti salino, con qualcosa di rosaceo al naso e un palato sobrio, composto e piacevole.
Molto coerente a se stessa anche la seconda batteria che, al netto dello stile molto muscolare e “parkeriano”, ha dato assaggi comunque interessanti e prodighi di reminiscenze. Dei tre ci ha colpito il 2006, ironia della sorte forse il meno chiantigiano e il più internazionale di tutti, con note terrose e di cacao al naso, sapori di ciliegie sotto spirito e Mon Cherie al palato. Non invecchiato benissimo, però.
Gli interessanti assaggi del periodo 2007-2012 hanno confermato le aspettative, con vini a volte buoni, a volte meno, spesso figli delle mode ma con scarsa continuità e coerenza, a testimonianza della sostanziale mancanza di direzione strategica.
Il 2016 è apparso pimpante, ancora giovanile sia al naso che in bocca, con in evidenza la gentilezza delicata del ribes e della viola, una bella freschezza e tanta sapidità. Vino di grande prospettiva, da aspettare con pazienza se si vuole berlo al meglio.
La difficile annata 2018 si è presentata un po’ scarica all’olfatto, con echi pungenti di melagrana e frutti acerbi, mentre al sorso è emerso un vino vivo, pronto, godibile e perfino invitante.
Forse è ancora troppo giovane per essere giudicato seriamente, il 2019, che tuttavia tradisce già da ora un’elegante potenza e dà continuità a uno stile aziendale improntato all’ampiezza e alla finezza, senza orpelli invasivi.
Nota finale senza piaggeria: è stata una celebrazione coi fiocchi e, siccome è vero, bisogna dirlo.
Stefano Tesi