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Silvio Carta, tra Vernaccia e Cagnulari

Lunedì avevamo scritto in merito ai Vermentino prodotti da un’azienda di recente costituzione, quella di Antonella Corda, prodotti nel Sud della Sardegna, oggi ci spostiamo in provincia di Oristano per assaggiare i vini di un’azienda storica, ovvero quella di Silvio Carta.

Se si andassero a sfogliare le prime pagine del catalogo dei prodotti della Silvio Carta si penserebbe di avere a che fare con una distilleria/liquoreria, vi si trovano infatti numerose versioni di Gin, Grappe, Mirto, liquori e distillati vari, Vermouth e Bitter, ma poi arrivano anche i vini, Vernaccia di Oristano in primis, ma anche, seppur in minor misura, Vermentino, Cannonau, Cagnulari e Monica.

L’azienda Silvio Carta, nata negli anni cinquanta si era sin da subito dedicata alla produzione  della Vernaccia di Oristano, col passare degli anni però la produzione si è ampliata, dedicandosi principalmente alla distillazione ed alla liquoristica, non dimenticando però le sue origini.
Ecco quindi che a listino ci sono ben 5 diverse annate di Vernaccia di Oristano Riserva, connotate da etichette diverse tra loro, spingendosi sino al 1968.

Noi abbiamo assaggiato la 2006, oltre all’ultima annata di Cagnulari, iniziamo quindi da quest’ultimo.

 – Igt Isola dei Nuraghi Cagnulari “Po Tui” 2019
Vitigno antico e diffuso unicamente sin Sardegna, il Cagnulari, conosciuto anche come Cagnolari Nero, Cagnonale, Cagliunari, tanti nomi per un vitigno che nell’isola ha trovato la sua dimora ideale e che oggi insiste in particolar modo nella zona del Sassarese.
La sua superficie vitata è assai ridotta, dai dati dell’ultimo censimento ISTAT del 2010, ne risultavano 260 ettari.
D’origine incerte, per alcuni versi simile al Bovale, parrebbe essere stato introdotto in Sardegna durante la dominazione aragonese.
Il vitigno può essere utilizzato nella Doc Alghero ed in 15 vini ad Igt dell’isola.

Le uve per questo vino provengono da vigneti presi in affitto nella zona d’Alghero, allevati a Guyot con densità di 4.000 ceppi/ettaro, dopo una potatura verde tardiva, danno una resa di 70 q.li /ettaro.
Fermentazione ed affinamento si svolgono in vasche d’acciaio.

Il colore è profondissimo e compatto, quasi nero, con unghia violacea.
Intenso al naso, alcolico, presenta sentori di frutta scura, ciliegia matura, confettura di prugne, sottobosco, note balsamiche e speziate, pepe, caffè e cioccolato, leggeri accenni affumicati.
Strutturato ed alcolico, ampio e complesso, speziato, quasi piccante, con tannini morbidi e vellutati, frutto rosso maturo, sentori di liquirizia forte e caffè solubile, accenni di tamarindo e di fichi al forno, piacevolmente amaricante il lunghissimo fin di bocca che chiude su sentori di rabarbaro e radice di genziana.

La Vernaccia di Oristano

Un vino ed un vitigno antichi e moderni al contempo, il primo ad ottenere la Doc in Sardegna, può essere prodotto anche nelle tipologie Superiore, Riserva e Liquoroso.
Il vitigno si trova solamente in Sardegna dove, oltre alla Doc Vernaccia di Oristano, può essere utilizzato anche in una quindicina di vini ad Igt.
Nel corso degli anni la sua superficie vitata –come d’altra parte quella di tutta l’isola- s’è estremamente ridotta, basti pensare che nel 1970 se ne contavano quasi 2.600 ettari, mentre quarant’anni dopo, l’ultimo censimento agricolo, quello del 2010 ne registrava unicamente 272, anche se d’allora, e lo attestano la produzione di barbatelle negli ultimi anni, pare ci sia una netta ripresa.
Il suo luogo d’elezione si trova lungo le sponde del fiume Tirso, sino al golfo d’Oristano, un territorio caratterizzato da stagni e lagune, con suoli di natura alluvionale generati dai detriti portati dal fiume nel corso degli anni, mentre quelli più antichi sono prettamente ciottolosi ed argillosi.

Una leggenda narra che il vitigno nasca dalle lacrime di Santa Giustina, la quale, sorvolando la desolata pianura, dove regnava la malaria, pianse e, da quelle lacrime si generò quell’arbusto dai cui grappoli si ricava il vino che ha permesso agli abitanti di sopravvivere sino alle bonifiche dell’ERLAS.

Per quanto riguarda la Doc Vernaccia di Oristano, i dati forniti da ISMEA sono a dir poco sconfortanti, nel 2018 si contavano infatti unicamente 2,26 ettari rivendicati (lo scriviamo anche in corsivo: due virgola ventisei ettari) per un imbottigliato pari a 364,45 ettolitri che, tradotto equivale a meno di 49.000 bottiglie da 0,75 litri.
Un vero peccato per un vino unico, che può raggiungere qualità elevatissime.

Ci piace qui ricordare quanto scritto da Giuseppe Dessì al quale fu affidato il capitolo dedicato ai vini sardi nel libro “Vini italiani” – Edizioni Radio Italia – luglio 1951, che ne attribuisce la descrizione ad un non meglio precisato “specialista.

Nel suo primo anno di vita la Vernaccia non è un vino presentabile: è fiacco, di colore sbiadito, spesso torbido, senza brio, senza aroma, e quasi privo di gusto. Si chiarifica e comincia a diventare potabile sotto l’influenza dei calori estivi. In autunno e principalmente d’inverno, cioè al principio del suo secondo anno, la Vernaccia può esser piacevolissima a bere, ma essa non sviluppa i suoi pregi prima della seconda estate; allora la Vernaccia, perfettamente spogliata, può fare, migliorando, dieci volte il giro del mondo, ha acquistato il suo brillante color ambra, le sue qualità toniche, leggermente eccitanti ed altamente igieniche, e quasi tutti i pregi insomma che la rendono così universalmente gradita”.

 – Vernaccia di Oristano Riserva 2006
Nulla di più semplice e tradizionale per la produzione di questo storico vino.
La vinificazione avviene –come da sessant’anni a questa parte- in botti di castagno usate da 500 litri, dopo il primo travaso inizia spontaneamente a prodursi il film biancastro –col tempo diventerà poi più scuro- dovuto al particolare ceppo di lieviti filmogeni, che andrà a ricoprire il vino e che lo porterà ad un particolare tipo di ossidazione.
Il vino rimane quindi in affinamento per molti anni (14 nel caso del vino in degustazione) senza che le botti vengano mai ricolmate acquisendo così quei particolari ed unici profumi e gusti.

Il particolare colore, tra l’ambra, il topazio e l’oro antico ricorda un cognac.
Il naso è decisamente particolare, ampio, avvolgente ed intenso, i sentori di frutta secca sono quelli che per primi ci colpiscono, la noce e la mandorla amara in primis, ma anche fiori secchi, erbe aromatiche essiccate, miele di castagno, radici, fichi secchi.
La nota alcolica è decisa al palato, anche se perfettamente fusa nell’insieme e si fa sentire con una leggerissima pungenza, nuovamente è la frutta secca ad imporsi con quelle note mandorlate che rimandano all’amaretto, a seguire il miele amarognolo di castagno e gli accenni di radici, sentori addolciti da sfumature d’uvetta passa, la sua persistenza poi è lunghissima.
Lorenzo Colombo

Silvio Carta