Graziano Prà e lo Screw cap
Il tappo a vite
Graziano Prà è da anni un convinto fautore della tappatura tramite Screw cap (il tappo a vite), le prime bottiglie con questa tipologia di tappo risalgono al 2010 incontrando notevoli problemi con il Consorzio di Tutela che dapprima ammette il tappo a vite unicamente per il Soave, escludendo quindi i Soave Classico.
Graziano sostiene che “Il tappo a vite supporta la longevità del vino, gli permette di evolvere correttamente e garantisce una chiusura perfetta, sono queste solo alcune ragioni che sostengono la nostra scelta, una decisione maturata dopo tredici anni di osservazioni e degustazioni comparate di vecchie annate. Oggi siamo certi che il tappo a vite sia la scelta migliore per l’affinamento e la conservazione dei nostri vini, la risposta più forte al nostro desiderio di produrre vini buoni nel tempo, senza difetti ed eleganti.”
Inoltre è convinto che “Comprare una bottiglia di Soave con il tappo a vite significa non correre rischi ed essere certi di acquistare un vino che dipende dall’annata, e mai dal tappo. Inoltre, lavorando molto con i mercati esteri, il tappo a vite ci permette di reggere lo stress da trasporto, evitando tutti i problemi legati al posizionamento verticale o orizzontale e agli sbalzi di temperature tra un mezzo e l’altro”.
Ne siamo convinti anche noi (in merito ai tappi alternativi in genere, non solo di quelli a vite) e quindi più che volentieri abbiamo accettato l’invito a partecipare ad un pranzo stampa dove Graziano ha messo alla prova le sue convinzioni, proponendoci lo stesso vino (con diverse annate sulle spalle) con i due tipi di chiusura: sughero monopezzo e Screw cap.
Prima di addentrarci in questa degustazione che non è certo terminata con un solo vino, è necessario fornire qualche informazione su Graziano Prà e sulla sua azienda.
Vignaiolo, come lo erano stati il nonno ed il padre, morto quando Graziano era ventenne, fonda, unitamente al fratello l’azienda F.lli Prà agli inizi degli anni Ottanta per poi divenirne l’unico proprietario, cambiandone il nome, nel 2007.
S’inizia come consuetudine dai vini in damigiana per poi commercializzare la sua prima etichetta nel 1983, di tratta del Soave Classico “Otto”, ancor’oggi prodotto, quindici ettolitri di vino che all’inizio fatica a vendere perché ritenuto troppo costoso da un importatore tedesco.
Cinque anni più tardi è la volta del Soave Classico Monte Grande, nato per valorizzare il vigneto di famiglia.
Nel 1990 viene costruita la nuova cantina e nel 2000 il Monte Grande viene riconosciuto dalla critica come un grande vino, ottenendo i prestigiosi Tre Bicchieri del Gambero Rosso/Slow Food.
Nel 2001 vengono acquistati i vigneti La Morandina, in Valpolicella e nel 2006 viene prodotto il primo Amarone, e nel 2016 viene infine acquistata la Tenuta Bisson a Soave, portando così la superficie vitata aziendale a 40 ettari nella zona del Soave (33 dei quali nel Soave Classico), ai quali si aggiungono gli otto ettari nella Valpolicella allargata.
L’azienda, situata a Monteforte d’Alpone, produce attualmente cinque etichette dai vigneti del Soave (quattro delle quali di Soave) e tre in quelli della Valpolicella per un totale di 410.000 bottiglie, 350.000 delle quali di vini bianchi e 60.000 di rossi. L’85% della produzione viene esportato in 45 diversi paesi.
La degustazione
S’inizia con l’ultima annata del vino d’ingresso (brutto il termine “Vino Base”, che sembra sminuire la qualità del prodotto), si tratta del Soave Classico “Otto” 2021 servito da una Magnum con chiusura Screw cap.
Il curioso nome datogli è quello del cane (che ora non c’è più) al quale Graziano era molto affezionato, tanto da dedicargli un vino.
Le uve, Garganega in purezza, provengono da vigneti di 30-60 anni d’età, situati a Monteforte d’Alpone, collocati tra i 150 ed i 250 metri d’altitudine su suoli d’origine vulcanica.
Allevati a Pergola veronese danno una resa di 70 ettolitri/ettaro.
Fermentazione ed affinamento d’effettuano in vasche d’acciaio.
Il colore verdolino-paglierino luminoso.
Fresco al naso, intenso, verticale, agrumato, sentori di pesca bianca.
Fresco e pulito anche al palato, verticale, di media struttura, con accenni d’agrumi e discreta persistenza.
Si passa ora al confronto tra i diversi sistemi di tappatura, vite e sughero, e lo si fa utilizzando sempre il Soave “Otto”, questa volta però dell’annata 2012.
Screw cap
Color giallo-oro di buona intensità.
Intenso al naso dove si colgono leggere note tostate, accenni d’idrocarburi, frutta tropicale, buona eleganza.
Più largo ed evoluto rispetto a quello con tappatura in sughero.
Dotato di buona struttura, sapido e fresco, con bella vena acida, frutta tropicale e leggeri accenni di zenzero, lunga la sua persistenza.
Sughero
Il colore molto simile a quello del precedente vino.
Meno intenso al naso rispetto al precedente, però più fresco e verticale, ma anche un poco compresso.
Fresco e verticale alla bocca, frutta a polpa bianca, lunghissima la persistenza.
In questo primo confronto la spunta, secondo noi, il vino tappato con sughero, che appare più fresco e verticale rispetto alla chiusura a vite dove troviamo un vino più evoluto, seppur più ampio.
Le cose però cambiano completamente quando ci viene servita una seconda bottiglia con chiusura in sughero, qui infatti troviamo un vino meno espressivo al naso e vi cogliamo una leggera deviazione ascrivibile quasi certamente al tappo.
Sia chiaro che questa non può certamente essere considerata una prova estremamente tecnica, per questo necessiterebbero confronti effettuati in condizioni diverse e con vini opportunamente preparati per essere chiusi con sistemi di tappatura diversa.
E’ però la prova lampante che col passare degli anni i vini tappati con sughero non saranno mai uguali tra bottiglia a bottiglia, il sughero monopezzo è infatti un manufatto unico e non ripetibile, ogni tappo è diverso dagli altri e quindi ogni bottiglia di vino avrà una diversa evoluzione.
Cosa certamente superabile utilizzando sistemi di tappatura differenti, siano essi i tappi a vite o quelli in materiali diversi dove le differenze, se non nulle saranno certamente minime.
Superato questo momento che era poi il focus dell’incontro si passa all’assaggio di altri vini.
– Soave Classico “Monte Grande” 2018 (Screw cap)
Si tratta di un Cru aziendale, prodotto utilizzando le uve provenienti dal vigneto storico della famiglia, sempre a Monteforte d’Alpone.
Monte Grande è infatti una delle 33 UGA (Unità Geografica Aggiuntiva) delimitate nel territorio di produzione del Soave.
La sua superficie totale è di poco inferiore ai 50 ettari ed il suo suolo è composto da basalti vulcanici.
Il vigneto di Prà ha sessant’anni d’età, si trova a 150 metri d’altitudine ed è allevato in parte a Pergola veronese ed in parte a Guyot e vi si trovano sia Garganega che Trebbiano di Soave con una resa media di 50 ettolitri/ha.
Il vino è frutto di un blend tra 70% Garganega e 30% Trebbiano di Soave, il Trebbiano viene vendemmiato a metà settembre mentre per la Garganega s’utilizza la tecnica del taglio del tralcio, ovvero, dopo aver tagliato i tralci si lascia l’uva ad appassire in pianta per circa un mese.
Questo serve a dare al vino maggior struttura e morbidezza.
Il mosto fermenta in vasche d’acciaio ed il vino s’affina quindi in botti da 30 ettolitri di rovere d’Allier per dieci mesi.
Il colore è giallo paglierino luminoso, mediamente intenso.
Bel naso, intenso, fine ed elegante, presenta leggere note d’idrocarburi.
Fresco, sapido e verticale, succoso, note d’agrumi, accenni tropicali, leggeri sentori idrocarburici, lunga la sua persistenza.
Cambio di zona, da Soave ci si sposta in Valpolicella dove Graziano Prà dispone di otto ettari di vigneti situati tra Mezzane e Tregnago, nella parte Est della denominazione, la cosiddetta Valpolicella allargata.
Il vino che ci viene proposto è il Valpolicella “Morandina” 2021 , la chiusura è sempre con Screw cap.
I vigneti, condotti in regime biologico ed allevati a Guyot con resa di 40 ettolitri/ettaro, sono situati a 450 metri d’altitudine e sono stati messi a dimora nel 2001, il vino è frutto di un blend tra Corvina, Corvinone, Rondinella e Oseleta.
Le uve vengono sottoposto ad un appassimento d’una ventina di giorni prima d’essere vinificate in vasche d’acciaio, il vino s’affina quindi in botti di rovere da 20 ettolitri per 3-6 mesi dipendentemente dall’annata.
Color granato scarico.
Intenso al naso dove presenta sentori di radici, rabarbaro e tamarindo.
Decisamente atipico.
Bel naso, intenso, fresco, Succoso e di media struttura, leggeri accenni piccanti, note amaricanti sul fin di bocca.
Nulla da dire sulla sua qualità, ma in effetti ci ricorda più una Schiava altoatesina (o un Pinot nero) che non un Valpolicella.
Anche Graziano sostiene d’aver avuto problemi (e bocciature) con la commissione valutante la Doc per non corrispondenza con i parametri del disciplinare di produzione.
– Amarone della Valpolicella “Morandina” 2016
Le uve provengono dagli stessi vigneti utilizzati per il Valpolicella, raccolte a metà ottobre vengono poste in appassimento in cassetta per due mesi, la vinificazione s’effettua in vasche d’acciaio ed il vino matura in tonneaux e barriques per due anni prima d’essere assemblato e sostare un ulteriore anno in botti di rovere d’Allier da 20 ettolitri. Seguono quindi altri 12 mesi di sosta in bottiglia.
Color rubino luminoso di buona profondità.
Bel naso, fresco ed elegante, non molto giocato su note d’appassimento, leggeri sentori balsamici ed aromatici.
Fresco ed asciutto, non eccessivamente strutturato, con bella vena acida e bel frutto, leggere note piccanti e piacevoli accenni vegetali.
Un vino molto elegante e di piacevolissima beva ed anche in questo caso un poco atipico.
Lorenzo Colombo
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